Risulta piuttosto diffuso l’utilizzo come prova, sia nei processi penali che civili, delle registrazioni di conversazioni tra privati, effettuate con dispositivi portatili.
L’argomento è piuttosto delicato perché in presenza di determinate circostanze, non solo la prova potrebbe ritenersi inutilizzabile, ma l’autore potrebbe inoltre rispondere di un reato.
A titolo esemplificativo, qualora la registrazione sia effettuata da persona che abbia occultato la propria presenza all’interno di un luogo di privata dimora (casa, ufficio etc.), tale condotta costituisce il reato di interferenze illecite di cui all’art. 615 bis c.p.
La giurisprudenza ha chiarito che tale reato non si configura qualora la registrazione sia stata effettuata ad opera di una persona che ha partecipato alla conversazione o che comunque sia stata ammessa ad assistervi. In siffatto caso, invero, “rientra nella facoltà di ciascuno dei conversanti di porre a conoscenza di altri quanto percepisce, mentre tale possibilità di ostensione a terzi delle proprie comunicazioni rientra nel rischio dei partecipanti al dialogo di vedere diffuse le proprie affermazioni, insito in qualsiasi rapporto interpersonale, ineludibile se non con la generica fiducia riporta nella persona con la quale ci si pone in relazione” (pen. Sez. VI, Sent., 02-04-2013, n. 15003).
Pertanto, per integrare il reato di “interferenze illecite”, “è necessario che tali interferenze provengano da terzi, rimasti estranei alla conversazione, oggetto di registrazione”. (Cass. Pen., Sez. V, 28-11-2007, n. 1766).
Pertanto, la registrazione “nascosta” di un dialogo da parte di un partecipante ad esso risulta generalmente consentita (soprattutto al di fuori della “privata dimora”), anche se non in modo indiscriminato. Invero, la giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass. pen. n. 24288/2016) richiede che una simile iniziativa sia giustificata dalla necessità di esercitare un diritto, come quello di ottenere una “prova” che diversamente potrebbe non essere raggiunta. In questi casi, infatti, la registrazione assume una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa (Cass. Sez. Un. 28-5-2003 n. 36747).
Ulteriore aspetto da considerare riguarda poi l’utilizzo della registrazione. Invero, “integra il reato di trattamento illecito di dati personali (art. 167, d.lgs. n. 196/2003) il diffondere, per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui, una conversazione documentata mediante registrazione”. In altri casi di utilizzo “ingiustificato” delle registrazione, è stato altresì ritenuto integrato il delitto di diffamazione.
Pertanto, in conclusione, è bene ricordare che ai fini della legittimità della condotta sopra argomentata, l’autore della registrazione non deve occultare la propria presenza e deve essere ammesso al dialogo che intende registrare, nonché agire per la tutela di un diritto, proprio o altrui, ricordando poi di non diffondere indebitamente quanto captato.
Norme di riferimento: art. 615 bis c.p.; art. 595 c.p. ; art. 167, d.lgs. n. 196/2003;
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